Leadership IT e spirito di squadra: la visione del CIO di Macron
“If you want to be a hero, you’ve got to take hero shots.”
È questa la frase – firmata Reggie Miller, leggenda dell’NBA – che Matteo Tassetti, CIO di Macron, ha voluto ben visibile nel suo ufficio. Un messaggio semplice, diretto e potentissimo: se vuoi cambiare la partita, devi prenderti la responsabilità di tirare. Anche – e soprattutto – nei momenti decisivi.
Non è solo una citazione sportiva, è un manifesto operativo per chi guida l’innovazione tecnologica in azienda. Perché il ruolo del CIO oggi non si limita a “tenere accese le luci”, ma implica il coraggio di guidare il cambiamento, promuovere cultura, far crescere persone e risultati. Come? Con trasparenza, responsabilità, collaborazione e una buona dose di spirito imprenditoriale.
In questa intervista, Tassetti ci accompagna dentro la sua visione della leadership IT: concreta, ispirata e sorprendentemente umana.
Come EgoValeo, prendendo spunto dalle riflessioni di Matteo, abbiamo voluto rielaborare alcuni temi per approfondire gli aspetti centrali nella leadership tecnologica: dalla trasparenza alla responsabilizzazione, dalla collaborazione all’innovazione. Pensando a chi (CIO, CTO o IT Manager) si confronta ogni giorno con la complessità di guidare persone, processi e trasformazione.
Guarda un estratto dell’intervista:
La trasparenza: leva di engagement e allineamento strategico
La trasparenza, per molti, è un valore dichiarato. Per il CIO di Macron è invece una pratica quotidiana, uno dei mattoni fondamentali su cui costruire la cultura del team IT.
In un contesto come quello tecnologico, spesso attraversato da cambiamenti rapidi, complessità architetturali e sfide trasversali ai dipartimenti, la chiarezza comunicativa diventa uno strumento strategico, non solo relazionale. Trasparenza significa condividere in modo chiaro e continuo gli obiettivi aziendali, le priorità operative e le scelte tecnologiche, ma anche e soprattutto favorire un dialogo autentico in entrambe le direzioni: top-down e bottom-up.
Non si tratta solo di “dire tutto”, ma di creare un ambiente in cui le informazioni circolino in modo efficace, abilitando le persone a comprendere il contesto in cui si muovono e a contribuirvi in maniera attiva e consapevole.
Questo approccio produce due effetti immediati: da un lato, aumenta la fiducia nei confronti della leadership; dall’altro, favorisce un maggiore engagement, perché ciascun professionista percepisce di avere un ruolo attivo e riconosciuto nel raggiungimento dei risultati.
Nel modello di leadership descritto da Tassetti, la trasparenza è anche la premessa per un utilizzo virtuoso del feedback. I suggerimenti e le osservazioni che arrivano dai team – che si tratti di un process improvement, di una tecnologia emergente o di una criticità operativa – non vengono percepiti come disturbo, ma come preziosi indicatori di miglioramento continuo. Questo atteggiamento diffonde una cultura dell’ascolto e del miglioramento incrementale, essenziale per chi lavora su processi agili e su soluzioni ad alto impatto.
In sintesi, la trasparenza nel contesto IT non è (solo) una questione di stile comunicativo. È una leva organizzativa per costruire allineamento, accelerare le decisioni, aumentare la coesione dei team e rendere ogni professionista più autonomo, più informato e più coinvolto.
Responsabilizzazione del team
Il CIO di Macron lo dice chiaramente: ogni persona, dal più junior al livello executive, deve sentirsi proprietaria del proprio lavoro.
Non è una questione retorica. La responsabilizzazione, intesa come autonomia operativa allineata agli obiettivi, è oggi uno degli strumenti organizzativi più efficaci per aumentare velocità, qualità e motivazione nei team IT. Significa affidare alle persone non solo dei task, ma anche lo spazio decisionale per portarli a termine, assumendosi la responsabilità del risultato.
Questo approccio richiede, da parte dei manager, un cambio di paradigma: meno controllo e più fiducia; meno micro-management e più coaching. L’autonomia concessa non è totale né indistinta: è proporzionata al livello di maturità e competenza del collaboratore. Ma ciò che conta è l’impianto culturale: l’idea che ogni membro del team sia chiamato a contribuire attivamente alla riuscita di un progetto, e non a “fare solo il proprio pezzo”.
Un modello di questo tipo porta a risultati concreti: le persone diventano più reattive, più propositive, più attente alla qualità del proprio lavoro. Si sviluppa un mindset imprenditoriale diffuso, in cui l’individuo non lavora per consegnare qualcosa al capo, ma per creare valore reale per l’azienda.
L’accountability collettiva nell’IT
In ambito IT, dove ogni sviluppo sbagliato può significare settimane perse, questa forma di responsabilizzazione porta con sé anche un altro vantaggio: l’aumento dell’accountability collettiva. Quando ogni professionista percepisce che ciò che fa ha un impatto diretto sul sistema, diventa più incline a prendere iniziativa, segnalare criticità, proporre soluzioni. Il lavoro smette di essere esecuzione e diventa contributo attivo.
In definitiva, la responsabilizzazione è un investimento sul capitale umano, sul senso di appartenenza e sulla capacità di far crescere le persone attraverso il fare.
In un’organizzazione IT che voglia essere davvero agile, non esiste innovazione senza autonomia. E non esiste autonomia senza fiducia.

EgoValeo è leader nell’Head Hunting di professionisti in ambito Information Technology e Engineering.
La cultura della collaborazione secondo il CIO di Macron
La collaborazione è spesso citata come valore aziendale, ma nella realtà dei team IT assume una valenza molto più concreta e misurabile: è il modo in cui i problemi vengono risolti, le responsabilità condivise e le soluzioni migliorate attraverso il confronto. Nella visione del CIO di Macron, la collaborazione non è un optional culturale, ma una pratica strutturale che determina la resilienza e l’efficacia del team.
Un esempio emblematico arriva da un episodio reale, citato da Matteo: un malfunzionamento in ambiente di produzione, avvenuto durante il weekend, ha coinvolto due team su un’area di confine tra responsabilità. Invece di cadere nella trappola del rimpallo – tipica in molte organizzazioni – i team hanno scelto la strada più sana: agire subito, lavorare insieme e risolvere. Il lunedì successivo, il gesto spontaneo di chi ha portato le paste e chi ha portato da bere è stato più di una cortesia: è stato un simbolo tangibile di corresponsabilità e cultura condivisa.
Collaborare, in un contesto tecnologico, non significa semplicemente “comunicare tra reparti”. Significa saper integrare competenze differenti, accettare che le responsabilità possano essere fluide e che il successo di un team passa anche dalla capacità di supportare un altro quando serve. Le interdipendenze tecniche (tra infrastruttura, sviluppo, sicurezza, data governance, ecc.) richiedono strutture organizzative ibride, ma soprattutto persone disposte a uscire dal proprio perimetro quando la situazione lo richiede.
Questa forma di collaborazione funziona solo se sostenuta da una cultura manageriale coerente: una cultura in cui l’errore non è punito, il contributo trasversale è riconosciuto e il merito è distribuito. È qui che il ruolo del CIO o del CTO si fa cruciale: non solo come sponsor di progetti, ma come architetto di un ambiente di lavoro interdipendente, dove le squadre si sentono parte di un sistema più ampio.
In sintesi, la collaborazione è molto più di una semplice soft skill. È una competenza organizzativa che si costruisce nel tempo, attraverso esempi, scelte quotidiane, leadership visibile e meccanismi di riconoscimento. Ed è spesso ciò che distingue una struttura tecnologica rigida da un team capace di adattarsi, reagire e crescere insieme.
Per il CIO di Macron l’innovazione è un processo gestito
Quando si parla di innovazione in ambito tecnologico, si è spesso portati a immaginarla come un’intuizione improvvisa, frutto di genialità individuale. Nella realtà dei team IT, però, l’innovazione è tutt’altro che casuale: è un processo strutturato, da gestire con metodo, consapevolezza e visione strategica. È questa la prospettiva che emerge chiaramente dalle parole di Matteo Tassetti, CIO di Macron.
Innovare, spiega Tassetti, significa sperimentare, approfondire, rischiare, ma con intelligenza. In un dipartimento IT maturo, non si promuove l’innovazione dicendo “pensate fuori dagli schemi”, ma creando le condizioni organizzative e culturali per poterlo fare: spazi di test, tempo per la ricerca, apertura all’errore e una leadership capace di distinguere tra rischio calcolato e superficialità operativa.
La possibilità di sbagliare è parte del processo
L’errore, infatti, è parte integrante del processo innovativo. Pretendere innovazione senza margine di fallibilità equivale a chiedere risultati straordinari senza mai accettare deviazioni dal tracciato. Tuttavia, questo non significa accettare qualsiasi fallimento: il compito del manager è quello di contenere i rischi, delimitare il campo d’azione e guidare l’apprendimento che deriva dagli errori. È una gestione attiva, non una tolleranza passiva.
L’alternativa è pericolosa: in contesti dove ogni errore viene punito o stigmatizzato, si innesca una cultura del silenzio e dell’attendismo. Le persone smettono di proporre, di cercare soluzioni nuove, di mettere in discussione lo status quo. In questo scenario, l’innovazione si spegne non per mancanza di idee, ma per mancanza di autorizzazione culturale.
Tutti possono contribuire all’innovazione
Un altro punto chiave riguarda la diffusione della capacità di innovare. Non è (più) una prerogativa del solo team R&D. Ogni figura all’interno di un’organizzazione IT – dallo sviluppatore al responsabile infrastruttura – può contribuire al miglioramento continuo, se inserita in un contesto che ne valorizza il pensiero critico e le intuizioni. L’innovazione vera nasce spesso dal basso, dai piccoli aggiustamenti, dai problemi reali che qualcuno si prende la briga di risolvere in modo diverso.
In sintesi, l’innovazione non è un colpo di fortuna. È il risultato di un ecosistema dove le persone sono incoraggiate a provare, a sbagliare con criterio, a confrontarsi, a studiare. Dove l’errore è una tappa, non una colpa. E dove la leadership non si limita a “chiedere idee”, ma costruisce spazi, strumenti e margini entro cui queste idee possano nascere, evolvere ed essere messe alla prova.

EgoValeo è leader nell’Head Hunting di professionisti in ambito Information Technology e Engineering.
La cultura sportiva applicata all’IT
Lo sport come modello organizzativo per l’IT
Nel descrivere il proprio approccio alla leadership, il CIO di Macron sceglie una metafora che ben si presta al mondo dell’IT: quella sportiva. E non è un caso. In un’azienda che opera nel settore dell’abbigliamento tecnico e sportivo, la cultura della performance, della disciplina e del gioco di squadra è parte integrante del DNA aziendale. Ma il parallelo va ben oltre il branding: diventa un vero e proprio modello organizzativo.
La frase che campeggia nel suo ufficio – “You can’t make big shots if you don’t take big shots”, firmata Reggie Miller – racchiude un messaggio potente: prendersi la responsabilità di agire, soprattutto nei momenti cruciali. È questo, secondo Tassetti, il tratto distintivo delle persone che fanno davvero la differenza. Non basta avere talento o competenze tecniche: serve il coraggio di esporsi, decidere, rischiare. In altre parole, serve leadership diffusa.
Nel mondo IT, questa attitudine si traduce nella capacità di assumersi la titolarità di un progetto, prendere iniziative, proporre soluzioni anche quando l’esito non è garantito. È il professionista che “si prende il tiro” – per restare nella metafora cestistica – consapevole che potrebbe sbagliare, ma convinto che l’alternativa (non provarci) è peggio.
Preparazione, resilienza e spirito di squadra
La cultura sportiva richiama anche altri valori centrali nella gestione dei team tecnologici: l’importanza della preparazione costante, dell’allenamento, della capacità di reggere la pressione e di lavorare per obiettivi condivisi. Non esistono risultati sostenibili nel tempo senza rigore, dedizione e spirito di gruppo. Anche il talento, da solo, non basta: va costruito, potenziato, messo a servizio del team.
Inoltre, come nello sport, il fallimento non è una sconfitta definitiva, ma parte del processo di crescita. Le squadre migliori sono quelle che sanno fare autocritica senza cercare colpevoli, che analizzano gli errori per evolvere, che restano coese anche quando le cose non vanno secondo i piani.
Questa cultura del miglioramento continuo, della resilienza e della collaborazione strutturata si rivela estremamente funzionale nel contesto IT, dove il cambiamento è costante, le sfide complesse e le soluzioni raramente lineari.
In definitiva, portare lo spirito sportivo dentro l’organizzazione significa promuovere una leadership basata sull’esempio, una mentalità orientata all’azione e un’etica del lavoro fondata su impegno, responsabilità e visione condivisa. Ed è proprio questa combinazione – tecnica e carattere – che trasforma un buon team IT in una squadra capace di vincere le sfide più ambiziose.
Conclusione
Ringraziamo Matteo Tassetti, CIO di Macron, per aver condiviso con grande chiarezza e profondità la sua visione di leadership tecnologica. A ben vedere, le sue parole offrono spunti preziosi non solo per chi guida strutture IT complesse, ma per chiunque creda nel valore della responsabilità individuale, della collaborazione reale e dell’innovazione costruita giorno dopo giorno.
Abbiamo apprezzato in particolare la capacità di tenere insieme competenze tecniche e cultura organizzativa, con uno stile concreto, ispirato e profondamente umano. Un punto di vista che arricchisce il confronto e ci ricorda che, anche nel mondo IT, sono le persone a fare davvero la differenza.

Partner di EgoValeo
Ho maturato una lunga esperienza professionale in ambito IT ed Organizzazione, rivestendo ruoli dirigenziali di CIO in grandi aziende nelle industries dei servizi HR, del banking e della pubblica amministrazione. Ingegnere elettronico, ho speso i primi anni della mia carriera in una società di consulenza internazionale ed ho conseguito un master alla Bocconi di Milano. Sono partner di EgoValeo e consulente esperto di Digital Transformation.