Dipendenza da persone chiave: il rischio nascosto per aziende e team IT
Ci sono rischi che non compaiono nei bilanci, non emergono nei report trimestrali e non generano allarmi immediati. Eppure possono incidere in modo significativo sulla capacità di un’azienda di crescere, innovare e mantenere continuità operativa. La dipendenza da poche persone chiave è uno di questi.
In molte organizzazioni, soprattutto in ambito IT e nei processi più critici, competenze, decisioni e conoscenza del sistema sono concentrate su un numero limitato di individui. Finché tutto funziona, questo modello sembra efficiente. Il problema emerge quando il contesto cambia: una trasformazione digitale, una crescita rapida, un’uscita improvvisa o semplicemente l’aumento della complessità.
Negli ultimi anni, lavorando a stretto contatto con aziende di settori diversi e confrontandoci con CEO, HR e leadership IT, questo tema è emerso con sempre maggiore chiarezza.
Sono partita da un’intervista con Carglass (Gruppo Belron) che con grande lungimiranza mitiga il rischio in modo efficiente: visione a 360°, autonomia diffusa, formazione continua e collaborazione internazionale sono risposte organizzative a un rischio reale.
Questo articolo parte da qui. Dalla consapevolezza che la gestione delle persone chiave non è solo una questione di risorse umane o di tecnologia, ma una scelta strategica di governance. Perché oggi, più che mai, la solidità di un’azienda si misura anche nella sua capacità di non dipendere da un singolo.
Quando la dipendenza da persone chiave diventa un rischio strategico
La dipendenza da persone chiave non è, di per sé, un problema. In ogni organizzazione esistono figure ad alta competenza, con esperienza profonda e conoscenza del contesto. Il rischio nasce quando questa dipendenza smette di essere una scelta e diventa una condizione strutturale.
In molte aziende, soprattutto in ambito IT e nei processi più critici, sistemi e decisioni si sono evoluti nel tempo attorno a singole persone. È un fenomeno naturale, spesso legato alla crescita incrementale, alla storicità dei progetti e alla scarsità di competenze sul mercato. Finché l’organizzazione resta stabile, questo modello sembra funzionare. Anzi, viene spesso percepito come efficiente.
Il problema emerge quando il contesto cambia. Una trasformazione digitale, un aumento della complessità operativa, un’espansione internazionale o un cambio di strategia mettono sotto pressione il sistema. In quel momento, la concentrazione della conoscenza diventa un collo di bottiglia. Le decisioni rallentano, i rischi aumentano e l’organizzazione perde capacità di adattamento.
Dal punto di vista di un CEO, questo è un tema di governance. Non riguarda la singola persona, ma la struttura complessiva dell’azienda. Quando una competenza è concentrata, l’azienda diventa fragile. E questa fragilità non è sempre visibile: emerge solo in situazioni di stress, quando il costo del problema è già elevato.
C’è poi un aspetto spesso sottovalutato. La dipendenza da persone chiave limita anche la crescita delle altre risorse. Se decisioni, responsabilità e conoscenza passano sempre dagli stessi individui, il resto dell’organizzazione fatica a svilupparsi. Questo crea un circolo vizioso: più l’azienda cresce, più dipende da pochi, aumentando ulteriormente il rischio.
Riconoscere quando la dipendenza supera una soglia fisiologica è quindi una responsabilità del top management. Non per ridurre il valore delle persone chiave, ma per proteggere il valore dell’azienda nel suo complesso. In un mercato in cui velocità, resilienza e capacità di cambiamento sono fattori competitivi, questo tipo di rischio non può più essere considerato secondario.
I segnali deboli che indicano una dipendenza pericolosa
Il rischio legato alla dipendenza da persone chiave raramente si manifesta in modo improvviso. Nella maggior parte dei casi, è preceduto da una serie di segnali deboli, spesso normalizzati nel tempo e quindi sottovalutati. Proprio per questo risultano particolarmente insidiosi.
Uno dei segnali più comuni è la concentrazione informale delle decisioni. Quando, di fronte a un problema o a una scelta rilevante, la risposta è sempre la stessa persona, significa che la conoscenza non è realmente distribuita. Anche se esistono procedure o documentazione, il sapere critico resta implicito, custodito dall’esperienza individuale.
Un altro indicatore è la difficoltà a delegare progetti complessi. Se alcune attività non possono essere assegnate senza il coinvolgimento diretto di una figura chiave, l’organizzazione sta operando con una capacità limitata di scala. Questo non solo rallenta l’esecuzione, ma aumenta la pressione su poche persone, con effetti diretti su stress, motivazione e rischio di uscita.
C’è poi un segnale meno evidente, ma altrettanto rilevante: la fragilità nelle situazioni di emergenza. Quando un’assenza temporanea, anche breve, genera rallentamenti significativi o decisioni rimandate, il problema non è l’assenza in sé, ma la mancanza di alternative competenti.
Un esempio tipico riguarda i team IT. In molte aziende, un singolo professionista conosce a fondo architetture, integrazioni o logiche di sistema sviluppate nel tempo. Finché questa persona è presente, tutto funziona. Ma nel momento in cui viene coinvolta in un progetto strategico, si assenta o lascia l’azienda, emergono improvvisamente lacune operative, difficoltà di intervento e dipendenza totale per qualsiasi decisione tecnica.
Dal punto di vista di un CEO, questi segnali non vanno letti come problemi individuali, ma come indicatori di rischio organizzativo. Non riguardano la competenza della persona chiave, ma l’incapacità del sistema di funzionare senza di essa. Ignorarli significa accettare una vulnerabilità strutturale che, prima o poi, si manifesterà nei momenti più critici.
Riconoscere questi segnali in anticipo consente di intervenire in modo graduale e strategico. Farlo tardi, invece, costringe spesso a decisioni reattive, più costose e meno efficaci.
Come ridurre il rischio senza perdere competenze ed eccellenza
Ridurre la dipendenza da persone chiave non significa ridimensionare l’eccellenza individuale, ma renderla sostenibile nel tempo. Per un CEO, il punto non è limitare il valore delle persone più competenti, bensì fare in modo che quel valore non diventi un fattore di fragilità per l’organizzazione.
Un primo elemento chiave è la distribuzione della responsabilità. Quando decisioni e ownership sono condivise all’interno dei team, il rischio di concentrazione si riduce in modo naturale. Nell’esperienza di Carglass (Gruppo Belron), ad esempio, emerge un modello in cui i progetti IT – spesso complessi e con impatto internazionale – vengono affidati con un elevato grado di autonomia a più persone, evitando che tutto passi da un singolo punto decisionale. Questo approccio aumenta la resilienza e accelera l’esecuzione.
La seconda leva è la condivisione della conoscenza come pratica quotidiana, non come attività straordinaria. In contesti come quello di Belron, caratterizzati da trasformazione digitale e crescita internazionale, lavorare su progetti cross-country e in team distribuiti obbliga, di fatto, a rendere il sapere esplicito e condiviso. Affiancamenti, confronti continui e collaborazione tra colleghi con background diversi riducono la dipendenza da singole figure e rendono l’organizzazione più solida.
Un terzo elemento riguarda l’investimento strutturato sulla formazione. Nell’intervista emerge come la formazione IT venga trattata come leva strategica, con budget dedicati e attenzione allo sviluppo continuo delle competenze. Questo non solo mantiene alta la motivazione, ma crea ridondanza sana nelle skill critiche, abbassando il rischio legato all’obsolescenza o all’uscita di persone chiave.
C’è poi un aspetto culturale decisivo. In organizzazioni mature, come nel caso Belron, l’eccellenza non è misurata solo da ciò che una persona sa fare, ma anche dalla sua capacità di far crescere il team. Questo cambia la percezione della condivisione della conoscenza: non più perdita di potere, ma moltiplicazione del valore.
Infine, ridurre questo rischio significa anche fare scelte mirate nel recruiting. Inserire nuovi talenti con visione a 360°, capacità di lettura del contesto e mindset collaborativo contribuisce a riequilibrare il sistema e a rafforzare l’organizzazione nel suo complesso.
L’approccio di Carglass e del Gruppo Belron mostra come sia possibile affrontare il tema della dipendenza da persone chiave in modo strutturato e sostenibile. Non eliminando l’eccellenza, ma costruendo un’organizzazione capace di reggere la complessità, oggi e nel futuro.
Il metodo di recruiting per ridurre il rischio di dipendenza da persone chiave
Quando la conoscenza critica è concentrata su poche persone, il recruiting non può limitarsi a “coprire una posizione”. Deve diventare una leva di mitigazione del rischio organizzativo.
In contesti IT e engineering ad alta complessità, assumere profili identici a quelli già presenti spesso rafforza la dipendenza invece di ridurla. Un metodo efficace parte dall’analisi delle competenze critiche e delle aree di fragilità dell’organizzazione, per inserire persone capaci di portare visione, metodo e capacità di collaborazione.
È qui che un approccio di head hunting specializzato fa la differenza. Valutare competenze reali, proxy skills e mindset consente di costruire team più resilienti, non legati al singolo individuo. Un tema centrale sia nel recruiting IT che in quello engineering, dove l’impatto sul business è diretto.
Per approfondire questi temi nel contesto della ricerca e selezione specializzata, puoi consultare le nostre pagine dedicate all’head hunting IT e all’head hunting engineering, dove approfondiamo approccio, metodologia e contesti di intervento.
In questa prospettiva, ogni inserimento non è solo una risposta a un’esigenza immediata, ma un investimento sulla solidità dell’organizzazione nel medio-lungo periodo.
FAQ
Perché concentra conoscenza, decisioni e responsabilità su pochi individui, riducendo la resilienza organizzativa. In contesti IT ed engineering questo rischio incide direttamente su continuità operativa, velocità decisionale e capacità di affrontare trasformazioni tecnologiche e di business.
Un recruiting strategico non si limita a coprire ruoli, ma mira a riequilibrare le competenze all’interno dei team. Inserire profili con visione a 360°, capacità di collaborazione e attitudine alla condivisione della conoscenza aiuta a distribuire responsabilità e a rendere l’organizzazione meno dipendente dal singolo.
Oltre alle competenze tecniche, è fondamentale valutare competenze trasversali come capacità di lavorare per obiettivi, visione end-to-end, comunicazione con stakeholder non tecnici e attitudine alla condivisione della conoscenza. Sono queste skill che permettono di distribuire responsabilità e rendere l’organizzazione più resiliente.

Partner di EgoValeo
Ho maturato una lunga esperienza in ambito HR ed, in particolare, nella ricerca e selezione del personale qualificato. Ho iniziato la mia carriera in una multinazionale del settore ICT & Telco, ricoprendo diversi ruoli nell’ambito HR. Nel 2010 ho fondato EgoValeo, società specializzata nel tech head hunting. Sono coach certificata ICF e Coaching by Value.
